domenica 15 gennaio 2017

"La principessa delle ombre" di Cordelia Edvardson


"Felicità, non è questo che ti auguro, ma forza per portare il tuo destino"

Questa è l'autobiografia di Cordelia, l'autrice del libro.
Mezza cattolica e mezza ebrea, ci racconta il suo percorso di vita, il suo vissuto ad Auschwitz, e il suo ritorno alla vita "normale".
Vive la sua infanzia con le sorelle, la madre e il suo patrigno, che rispecchia perfettamente il tipico modello ariano, con il quale non avrà mai un vero rapporto genitore-figlia. 
Per sfuggire alle leggi razziali prende la cittadinanza spagnola grazie a vari marchingegni escogitati dalla madre, ma verrà presto "ricattata" e persuasa a firmare "liberamente" una carta per prendere la doppia cittadinanza e quindi sottostare anche alle leggi tedesche. Questo per la bambina sarà l'inizio della fine.
Vivrà un po' qua, un po' la; presso la famiglia M. dove viene spesso picchiata ferocemente dal capofamiglia che volentieri sfoga la sua ira su di lei, su quella bimba sbagliata, costretta a scrivere, nelle lettere indirizzate alla sua famiglia, che sta bene ed è felice.
Si troverà in età adolescenziale a lottare tra la vita e la morte, a volte a desiderare che giunga la seconda per porre fine a quella sua non esistenza, il peso di non avere più un'identità la opprime, è persa nel Grigio, nel Nulla. 

Nemmeno il dolore può trovare un punto d'appoggio nella nebbia grigia del Nulla, esso può mettere radici soltanto nella tera degli uomini, bagnato dalle loro lacrime.
...
Succedeva che qualcuna di queste donne uscisse di nascosto la notte e si gettasse contro il filo spinato percorso dall'alta tensione, per ricongiungersi al bambino che le avevano impedito di accompagnare nell'ultimo tratto di strada.

Una storia vera, un'altra testimonianza di ciò che avvenne nella seconda guerra mondiale, perché non si perda la memoria, perché non si ripeta più una dittatura simile. Il diritto alla vita è imprescindibile e nessuno mai, al mondo, dovrebbe privartene per ragioni così assurde e in modo tanto barbaro, crudele, sadico.

Qualche tempo dopo viene a sapere che durante le sue passeggiate domenicali nel campo Mandel certe volte sceglie a caso un prigioniero, sguinzaglia i cani e lascia che costringano la vittima contro l'alta tensione del filo spinato.

Se fossero potuti diventare profughi in tempo, avrebbero evitato di essere dei sopravvissuti. Fuggire era qualcosa di attivo, significava opporre resistenza e salvarsi. Le donne che c'erano lì avevano certo cambiato baracca, ma non erano "profughe", erano "sopravvissute". Gente rimasta. Per puro caso.

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